La Xylella fastidiosa è uno dei germi patogeni vegetali più pericolosi al mondo perché è in grado di espandersi molto in fretta, distruggendo tutto ciò che incontra. In puglia, da ormai 10 anni, gli ovicoltori stanno lottando contro questo morbo che ha portato alla perdita del lavoro per più di 5 mila persone. L’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha dichiarato per la Puglia lo stato di emergenza, in quanto se sottovalutato, il patogeno potrebbe propagarsi per tutta l’area mediterranea.
Uno studio pubblicato sulla rivista “PNAS” (Proceedings of the National Academy of Sciences), ha rivelato come questa minaccia può portare a delle ricadute economiche negative in grado di mandare in tilt la produzione olearia italiana ed europea.
Nel prospetto elaborato dal team che ha condotto lo studio, nei prossimi 50 anni le perdite dovute alla propagazione del batterio potrebbero ammontare a circa 5 miliardi per l’Italia.
Per quanto riguarda una cura per estirpare la Xylella fastidiosa, l’ELSA ha dichiarato come “non esiste ancora un modo conosciuto per eliminare il batterio da una pianta malata in reali condizioni di campo. In esperimenti recenti è stata valutata l’efficacia di misure di controllo chimico e biologico e i risultati mostrano che esse possono ridurre temporaneamente la gravità della malattia in alcune situazioni, ma non vi sono prove che possano eliminare Xylella fastidiosa in condizioni di campo per lungo periodo”.
La Stampa ha intervistato Giovanni Melcarne, agronomo pugliese e imprenditore dell’olio, che ha dichiarato “Per rendere conto di quanto il fattore Xylella abbia inciso sulla nostra salute finanziaria, basti pensare che l’aggravio che abbiamo ravvisato in termini di produzione è stato stimato, sino ad oggi, in circa un miliardo e ottocentomila euro, senza tenere conto degli incalcolabili danni d’immagine che abbiamo dovuto subire. Prima dell’inizio dell’epidemia il valore medio dei terreni nel leccese veniva indicativamente stimato a 27mila euro all’ettaro, con picchi massimi di 40 mila e minimi di 20 mila, mentre attualmente si attesta attorno ai 7 mila euro: una spirale discendente di proporzioni preoccupanti. Bisogna, inoltre, tenere in considerazione gli effetti deleteri prodotti dalla depressione: per gli agricoltori oggi è diventato rischioso non soltanto piantare ulivi, ma anche vigneti e altre specie, dato che filtra sempre il sospetto che il batterio possa mutare, infettando in tal modo colture differenti”.
Per risollevare la situazione, l’imprenditore pugliese indica l’intervento pubblico in agricoltura “I bandi di finanziamento regionali sono ancora fermi, ma coprono solamente il 50% del costo di reimpianto e, solo in rari casi, il 70%. È impensabile farcela da soli: bisogna predisporre un sistema di incentivi pubblici strumentale a incoraggiare gli operatori interessati a portare avanti opere di imboschimento e, di conseguenza, di produzione del paesaggio. Queste sovvenzioni concorrerebbero al raggiungimento di due obiettivi: in primo luogo aiuterebbero gli agricoltori a risalire la china, permettendogli di generare reddito; in seconda istanza, i sussidi genererebbero effetti virtuosi in termini di differenziazione biologica, contribuendo a stimolare un sostanziale aumento della biodiversità non soltanto intraspecifica, ma anche interspecifica; una necessità resa ancora più pregnante dal fatto che le varietà di ulivi presenti in Puglia appartengono quasi totalmente a due specie sensibili al batterio, resistenti ma non immuni: la Cellina di Nardò e l’Ogliarola”.
(La Stampa)